Viviamo in una società che non accetta la malattia presi come siamo a ricercare la perfezione in ogni cosa che facciamo o viviamo. Non dico sia giusto o sbagliato dico soltanto che la malattia impone una riflessione diversa e una presa di coscienza che ci pone davanti al fatto che perfetti non siamo. Tutto qui, né più né meno.
Davanti alla malattia il corpo cambia, le emozioni corrono con un ritmo inaspettato, la fatica raddoppia, la mente va veloce alla ricerca di un futuro che non sai mai se arriva e come arriva.
La malattia è un grande esercizio di realtà, consapevolezza e imperfezione da affrontare ogni giorno, passo dopo passo cercando di imparare tutto quello che possiamo da un’esperienza che può essere tanto dolorosa quanto preziosa. Sembra strano lo so, ma è così.
Per questo rifletto dicendo, a me stessa per prima e alle persone che incontro, che no non siamo guerrieri, noi affrontiamo un percorso di cure, ognuno a modo nostro e andrà bene.
Non siamo guerrieri perfetti dotati di armatura, affrontiamo le cure con un’armatura che si costruisce di volta in volta, un’armatura fragile che potrebbe rompersi e potrebbe aver bisogno di essere ricostruita ogni tanto.
Non siamo guerrieri e neppure super eroi, siamo persone e credo che dovremmo ricordarlo più spesso.
Da donna e paziente oncologico penso di poterlo dire: la frustrazione di capire che quello che dicono e i modelli che impongono possono essere sbagliati fa quasi più male della presa di coscienza della realtà stessa.
Perché nessuno racconta che la diagnosi spaventa, che le terapie sono pesanti, che le controindicazioni esistono, che il corpo cambia, che l’autonomia non è più quella di un tempo, che la dimensione sociale e relazionale all’improvviso viene messa in discussione, che l’accettazione di noi stessi non è più così scontata. Di questo non si parla mai o se lo si fa lo si fa ancora troppo poco.
Servirebbe un vocabolario della malattia che possa aiutare davvero le persone a essere preparate e, forse, un pochino più pronte per capire a cosa davvero andranno incontro.
Senza allarmismi, senza false speranze, senza creare miti che non esistono.
Basterebbe provare a raccontare la realtà, magari a piccole dosi condividendo quello che da questa ognuno di noi ha imparato anche per superare i momenti difficili perché il percorso può essere corto o lungo ma non è questo che importa è sapere che qualcuno prima di noi ha provato quello che noi stiamo provando in questo esatto momento e allora quel senso di solitudine e impotenza nei confronti di qualcosa che è troppo grande da accettare potrebbe apparire diverso.
Non credo servano guerrieri credo servano portatori sani di realtà. E tu, cara Nadia, lo sei stata.
Pensateci e, se volete, fatemi sapere cosa ne pensate.
photo credit Vita.it
Un commento