Il cancro spariglia
è il modo in cui un’amica sintetizza un pensiero comune a tutte noi, che abbiamo vissuto e viviamo il cancro al seno: dopo la diagnosi, la vita non è più la stessa, nel bene e nel male. Vediamo allora dove tutto comincia, dalla diagnosi.
Per me è il giugno del 2008 quando per la prima volta sento che c’è qualcosa, come un pallino duro, sul seno destro. Avevo 46 anni e familiarità con il cancro al seno, per questo facevo la mammografia ogni anno, dai 40 in poi e l’avevo già fissata, per il 24 luglio. Oltre a questo, durante l’anno facevo regolarmente l’autopalpazione, perché ogni cambiamento è importante. Razionalmente lo sapevo, che avrei dovuto anticipare l’esame, tuttavia non lo feci, erano poche settimane e inconsciamente rifiutavo l’idea di ammalarmi.
Il giorno della mammografia (e dell’ecografia mammaria che mi è sempre stata fatta lo stesso giorno perché i due esami devono essere letti contemporaneamente) il timore diventa realtà ed anche il senologo si mostra preoccupato. Il passo successivo, mi spiega, è fare l’ago aspirato e l’analisi istologica del tessuto che verrà prelevato, per la diagnosi definitiva. All’epoca non sapevo che questo è uno dei passaggi più importanti per cominciare a curarsi, perché da questo esame dipendono molte delle decisioni che l’equipe medica a cui vi affiderete dovrà prendere.
Dal punto di vista molecolare, esistono 4 macrocategorie di tumori al seno: quelli la cui crescita è stimolata dagli ormoni femminili (estrogeni e progesterone), che sono i più comuni (rappresentano circa il 70% di tutti i tumori al seno); quelli stimolati dal fattore di crescita dell’epidermide (Her-2 positivi); quelli stimolati da entrambi e infine i “triplo negativi”, così chiamati perché non rientrano in nessuna delle prime tre categorie. Queste caratteristiche aiutano i medici a stabilire la terapia farmacologica più adeguata. Europa Donna Italia, Manuale della prevenzione
Ma facciamo un passo indietro. Se avete letto della mia esperienza di malattia saprete che sono una donna fortunata, perché ho avuto un’esperienza di malattia positiva, navigando più o meno alla cieca fra uno specialista e l’altro, fidandomi molto del mio istinto nella scelta dei medici e delle strutture. Ora so che questo non deve avvenire e che curarsi in un centro specializzato per la diagnosi e cura del cancro al seno aumenta in maniera significativa le probabilità di sopravvivenza. Sto parlando delle Breast Unit, di cui scriverò nei prossimi giorni.
Nel frattempo, perché non mi raccontate come vi siete accorte che qualcosa non andava?
Questo post fa parte di un progetto di diffusione di informazioni, legate principalmente al tumore al seno, ed organizzate intorno al mio percorso personale nell’affrontare la malattia, prima, e nel cercare di comprenderne, poi, tutte le sfaccettature. Qui trovate il post di apertura. Contribuite anche voi raccontandomi nei commenti le vostre esperienze.